Comunità - Storia





Articolo tratto da Il Notiziario di Arluno nel 1990, scritto da suor Pilar:
 
"A febbraio dello scorso anno, quando ancora il freddo e la nebbia rendevano meno piacevole la campagna arlunese, la Comunità Irene prendeva possesso di quattro appartamenti nella ampia e accogliente Cascina Poglianasca, allo scopo di accogliervi ragazze toccate da problematiche varie. Iniziamo così un nuovo percorso, sconosciuto ma illuminato dalla speranza e dal desiderio di essere una "presenza significativa nella problematica e nel disagio giovanile" (Statuto).

Al compiersi del primo anno, lo scopo di queste righe non è quello di "fare i conti".  Ecco quindi, non un bilancio ma una riflessione, se volete anche uno sguardo in profondità, nel tentativo di cogliere il significato e il senso del nostro essere qui presenti. 

Siamo convinti che "essere presenza significativa" non voglia dire fare tanto, ma  fare in un certo modo, convinzione non facile da mantenere quando ciò che fa prestigio è il fascino del produrre, la tentazione dei numeri.  "Quante ragazze avete?", "Quante si ricuperano?", "Di quanto tempo hanno bisogno per guarire?".  
Queste le domande più ricorrenti, tutte improntate sul quanto,   come se i fenomeni umani si potessero misurare o contare a mo' di soldi, pezzi prodotti o pecore allevate...

Piuttosto che ragionare sul quanto, noi abbiamo preferito i criteri del come e del perchè, lasciando chi leggerà libero di giudicare un modo di seminare che solo a lunga scadenza potrà vantare dei frutti.

Come?

*  Abbiamo cercato di essere presenti con un atteggiamento di  osservazione e di attenzione,   consapevoli che in questo momento abbiamo più cose da imparare e da conoscere, che consigli o lezioni da dare.
*   Ci siamo inseriti con la prudenza della  gradualità  e dei  piccoli passi, convinti che il lavoro in profondità, a lungo andare, diventa anche lavoro in estensione, e non viceversa.
*  Abbiamo curato particolarmente di essere  aperti al contesto,   in una reciprocità di scoperta e di collaborazione, sia con le strutture del territorio che con la gente comune.

Perchè?

*    Perchè non crediamo alle risposte prefabbricate nè ai programmi collaudati, bensì ai tentativi per far esprimere la ricchezza e le potenzialità delle persone e dei luoghi, unici ed irripetibili.
*    Perchè, pur constatando che i bisogni sono tanti, siamo convinti che "chi molto abbraccia stringe poco", e il complesso di "padreterni" (tutto e subito!) porta più danni che risposte.
*   Perchè fare comunità non significa in un isola felice, autocomplimentandosi narcisisticamente o accettando che gli altri ti ritengano "il salvatore" o il "bravo" della situazione.  Fare comunità può significare semplicemente il richiamo ad una solidarietà più vera, l'espressione di una fede nelle risorse e nella volontà delle persone, solidarietà e fede che è di tutti,  e che se condivisa, diventa progetto di crescita e di liberazione per tutti.

 
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